giovedì 14 agosto 2008

Coscienza

Tratto dal bellissimo libro "Memorialul durerii" (Il memoriale del dolore) di Lucia Hossu Longin, ed. Humanitas, in collaborazione con l'Istituto Romeno per l'Investigazione dei Crimini del Comunismo in Romania:

Lucia Hossu Longin:"C'è qualcosa di cui vi rimproverate, della vostra vita, come uomo?"

Alexandru Nicolschi:"Non credo, sono entrato in questa attività pochè sapevo di fare il mio dovere verso il Partito e perchè pensavo che il Partito volesse fare qualcosa per me".

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Alexandru Nicolschi, generale della Securitate Romena, il cui vero nome era Boris Grunberg, nacque in URSS il 2 giugno 1914, professione: riparatore di telefoni.

Lavorò per il Servizio Sovietico di Polizia Politica (NKVD). Nel 1941, venne condannato dalla Corte Marziale del Comandamento Territoriale IV della Romania ai lavori forzati a vita, per spionaggio verso l'Unione Sovietica.

Riabilitato dagli eventi politici che portarono il Partito Comunista Romeno al potere, nel 1948 era già vicedirettore della Direzione Generale della "Securitate" del Popolo; in seguito divenne Segretario Generale del Ministero degli Interni.

Assieme a Gheorghe Pintilie (vero nome: Pantiusa Bodnarenko), capo della Direzione Generale della "Securitate", rappresentò lo spirito del grande terrore della Russia comunista. Appartenevano entrambi, infatti, a quei gruppi di militanti, formatisi in Russia a partire dal 1937, pronti a qualsiasi azione, incluse torture indicibili e sterminio degli avversari, nel nome del partito.

Proprio mentre era Segretario Generale, il generale Nicolschi coordinò lo svolgimento della "rieducazione di Pitesti", istruendo personalmente Eugen Turcanu, capo dei torturatori.

Avremo modo di parlare molto di questo capitolo nero della storia romena che và sotto il nome di "esperimento Pitesti". In quel carcere, applicando per la prima volta metodologie sviluppate in Russia, vennero sterminati, dopo mesi di torture fisiche e psicologiche, migliaia di studenti romeni.

Il dissidente sovietico Aleksandr Soljenitin descrisse l'esperimento Pitesti come:"La più terribile barbarie del mondo contemporaneo". Forse, ma rimaniamo nell'ipotesi, solo a Buchenwald e Maidanek si soffrì di più.

L'avvento del comunismo in Romania

Il 23 agosto 1944 ebbe luogo, in Romania, il colpo di stato con cui il Re Mihai I, sostenuto dai leader dei principali partiti politici, ha allontanato dal potere Ion Antonescu, il dittatore fascista che aveva portato la Romania in guerra a fianco di Hitler e Mussolini.

Tra i sostenitori dell’azione, si trovava anche il leader del Partito Comunista romeno, Lucretiu Patrascanu, anche se bisogna rilevare come tale partito fosse praticamente inesistente sulla scena politica romena. Il Partito Comunista Romeno (sotto diverse denominazioni), infatti, contava, nel periodo interbellico, tra i 300 ed i 1.600 membri.

Il coinvolgimento di Patrascanu, si dovette alla piega presa dalla Seconda Guerra Mondiale ed al desiderio del Paese di migliorare le proprie relazioni con l’Unione Sovietica, uno dei probabili vincitori. Già durante i governi condotti dai generali Radescu e Sanatescu, i comunisti erano riusciti ad accaparrarsi i posti-chiave, grazie all’appoggio russo.

Nel marzo 1945, Mosca ha imposto il governo Groza, in quel momento i comunisti cominciarono ad intimidire gli avversari politici. I preparativi per la repressione fisica cominciarono fin dai primi giorni del nuovo governo, prova ne è il fatto che, nella primavera del 1946, il Ministro degli Interni Teohari Georgescu organizzò la prima epurazione di dei vecchi quadri dirigenziali del Ministero, sostituendoli con elementi di formazione comunista.

L’ingresso dei comunisti nella coalizione di governo, permise loro di mettere in atto il piano per l’instaurazione della dominazione sovietica e della “defascistazione” (perdonatemi il termine, non riesco a tradurre meglio) della Romania. Il principale argomento addotto fù la necessità di applicare quanto previsto nella Convenzione d'Armistizio. Infatti, nell’applicazione della suddetta convenzione, ebbero l’appoggio della Commissione Alleata, controllata dai sovietici. Le loro prime misure furono proprio l’allontanamento delle persone considerate fasciste dalla pubblica amministrazione e la loro sostituzione con elementi comunisti.

Preannunciata dal linciaggio mediatico dell’organo ufficiale “Scanteia” (Scintilla), giornale che si scagliava contro tutti quelli che erano di diverso orientamento politico, la repressione fisica degli avversari politici si svolse in più tappe.

Innanzitutto vennero individuati e poi arrestati appartenenti a gruppi più o meno immaginari, i quali opponevano una resistenza più che altro ideologica: i collaboratori del generale Radescu, il gruppo del generale Aldea, i leader del Partito Nazionale degli Agricoltori (Partidul National Taranesc). Proprio contro quest'ultimo gruppo venne organizzata la cosiddetta "fuga di Tamadau", messa in scena in cui, attraverso infiltrati, venne offerta ai dirigenti del partito la possibilità di espatriare, per poi procedere, naturalmente, al loro arresto all’aeroporto di Tamadau.

L’ultimo ostacolo era rappresentato dallo stesso Re Mihai I, forzato ad abdicare il 30 dicembre 1947.

Il 1948 fu l’anno del consolidamento del potere politico dei comunisti. La Romania era tutt’altro che preparata per un tale regime, non tanto perché la popolazione fosse refrattaria, quanto per la mancanza di informazione su quello che fosse il comunismo stesso.

Anche se, dal punto di vedere politico, l’imposizione del PCR con la forza era facilitata dalle pressioni diplomatiche e militari, una trasformazione della coscienza e della mentalità di un popolo del tutto estraneo al comunismo necessita sforzi molto più grandi.

Visto dal punto di vista del regime: essendo grande la resistenza, la forza necessaria a sconfiggerla deve crescere in proporzione.

Questa era l’atmosfera in cui fu immaginata ed applicata una delle più dure, macabre ed inumane azioni repressive della storia.

Come si è messo in pratica? Dovevano essere eliminate due grandi categorie sociali: le cosiddette “elite” (di tutti i generi: politiche, militari, intellettuali, religiose) e la generazione-ponte tra la vecchia società ed il futuro, perchè le nuove generazioni potessero essere allevate e manipolate da parte del regime senza che avessero termini di paragone nei modelli passati.

Questa generazione-ponte, in tutte le società, è rappresentata dagli studenti. Questi ultimi, a loro volta, vennero divisi in due grandi categorie: i leader studenteschi, sia dal punto di vedere intellettuale che civico o politico, e studenti normali, presi (spesso in ruoli casuali e marginali) in movimenti più o meno attivi contro il comunismo.

La presenza degli ultimi ha una doppia giustificazione: prima di tutto si cercava di inculcare il pensiero che anche il più piccolo tentativo di opposizione sarebbe stato duramente perseguitato. Nello stesso tempo, poi, ci si procurava preziosi testimoni della persecuzione dei leader studenteschi, perchè il terrore potesse diffondersi.

Dopo la proclamazione della Repubblica Popolare Romena e la conquista definitiva del potere, il Partito Comunista scatenò un terrore sistematico contro gli oppositori politici, fossero essi reali o immaginari. Questo terrore fu scatenato contro l’intera società, in quanto i “nemici del popolo” venivano sia dalla classe borghese che da quella contadina (classe, quest’ultima, considerata alleata di quella degli operai nella costruzione della società socialista).

Il sistema carcerario comunista era concepito come un mezzo per sterminare i detenuti politici. Tale sterminio venne messo in atto attraverso condizioni spaventose di detenzione, mancanza di igiene, fame, torture, brutalità, lavoro forzato.
I metodi inumani praticati durante l’inquisizione dei detenuti politici sono state riconosciute ufficialmente, attraverso un documento conservato negli archivi del Partito Comunista Romeno, documento che divide questi metodi in tre categorie:

  • Uso della violenza, della sottoalimentazione prolungata e della tortura, allo scopo di ottenere dichiarazioni accusatorie.
  • Pressioni morali per costringere gli inquisiti a dichiarare ciò che era desiderato dagli inquisitori.
  • Falsificazione di dichiarazioni rese dagli inquisiti. Preparazione di dichiarazioni “ad hoc” che poi gli inquisiti erano costretti a firmare.

L'imposizione del comunismo nel Paese, imponeva un potente apparato repressivo, creato il 30 agosto 1948 mediante la trasformazione della Direzione Generale della Sicurezza dello Stato nella Direzione Generale della Sicurezza del Popolo (qui, purtroppo, è impossibile rendere, in lingua italiana, la differenza che corre tra le due parole romene "sicuranta" e "securitate", N.d.R.).

Questa nuova istituzione era subordinata direttamente al Ministero degli Affari Interni ed era condotta dal direttore generale Gheorghe Pintilie ed i suoi vice: Alexandru Nicolschi e Vladimir Mazuru. Questi tre personaggi, responsabili dei peggiori crimini del ventesimo secolo, erano in realtà agenti dei servizi russi, che agivano sotto falso nome romeno.

Lo scopo della "Securitate" era ben definito:"difesa delle conquiste democratiche e garanzia della sicurezza della Repubblica Popolare Romena (RPR) contro i nemici interni ed esterni".

Il terrore è stato imposto nei primi anni soprattutto usando metodi di repressione violenta: arresti, inchieste, torture, condanne (la giustizia era assecondata alla securitate, al punto che molte vittime reclamarono come, già dalla prima fase di inchiesta le loro condanne fossero già note) ma anche costituendo una rete di informatori all'interno delle carceri (pratica che in seguito fu estesa all'intera popolazione, una volta abbandonato il metodo delle detenzioni politiche per quello, meno inviso all'occidente, di trasformare gli oppositori politici in comuni criminali.